Ho analizzato il “bitcoin” per comprendere cosa fosse, se veramente poteva essere una opportunità da seguire e comunque per curiosità. In fondo siamo una realtà che vuole porsi innanzitutto come servizi web e ci è parso doveroso interrogarsi su questa realtà “monetaria”.
Devo ammettere un po’ di difficoltà a comprendere compiutamente la sua natura ed il suo funzionamento e non tutti i miei dubbi hanno trovato risposta pur leggendomi tutto quello che ho potuto sull’argomento.
Innanzitutto: il bitcoin è una moneta?
E’ una moneta virtuale, la risposta più consueta, che non ha un “corso legale” ma, mi si dice, non è “illegale”. L’Espresso in un articolo del novembre 2013 dichiara “…I bitcoin, che sono del tutto legali anche se il loro utilizzo non è privo di rischi, stanno alimentando una nuova economia alla luce del sole, fatta di piccoli imprenditori, appassionati di informatica e non, commercianti che hanno fiutato nuove opportunità e i primi giganti del mercato che iniziano ad affacciarsi creando qualche scompiglio…”. Beh, apprezzo la rassicurazione sinceramente astratta per un articolo altrettanto campato in aria che non fornisce alcuna spiegazione chiara in merito alla “legalità” di tale strumento di pagamento.
Voglio dire qualcuno può spiegarmi perché una moneta (virtuale) che non ha un corso legale sia legale?
La realtà, almeno per la mia interpretazione, è che il bitcoin andrebbe più correttamente definito come “strumento di pagamento” e non come “moneta” ove in quest’ultimo caso l’illegalità sarebbe palese.
In fondo nessun vieta a chicchesia di accettare qualunque strumento di pagamento e ove questo non sia rappresentato da moneta (legale) lo scambio prendo il nome di “baratto”: quindi un trasferimento verso un contro trasferimento di beni o servizi.
Torniamo quindi al bitcoin. Questo non ha materialità (per sua stessa vocazione e definizione, virtuale appunto), non è certamente un servizio e pertanto non può che essere un bene immateriale che ha un valore ed è soggetto allo scambio.
Può essere comprato, venduto e trasferito a terzi come corrispettivo della vendita di un bene o la prestazione di un servizio.
Problema risolto?
Macché. Anzi è proprio ora che la cosa si complica notevolmente. Infatti un bene, ancorché immateriale, per essere compravenduto deve rispettare le leggi fiscali.
Innanzitutto l’Iva.
Temo che trasferire a terzi bitcoin sia “soggetto ad iva” alla stregua di qualunque trasferimento di beni immateriali.
Ciò comporterebbe la necessità di avere un partita iva e soprattutto di emettere fattura. Una situazione che può sembrare paradossale o assurda a prima vista ma gira e rigira nei ragionamenti è l’unica soluzione al dilemma.
Quindi se vado al ristorante e pago in bitcoin dovrei emettere una fattura per la cessione di quei bitcoin, comprensiva di iva al 22% (sic!) che poi dovrei riversare allo Stato deducendomi l’iva sull’acquisto appena fatto ma che nel caso specifico (il ristorante) non sarebbe neanche deducibile.
Ho cercato in ogni modo di confutare me stesso su questa tesi ma non ci sono riuscito: temo proprio di aver ragione e nella fattispecie si sarebbe di fronte alla più grossa frode fiscale della storia vista la diffusione, sempre più massiccia, di bitcoin nel mondo.
Ovviamente sono apertissimo ad ogni controdeduzione in merito nella speranza che qualcuno possa trovare una soluzione diversa perché, lo ammetto, mi dispiacerebbe molto veder tramontare in maniera così ingloriosa i bitcoin.