Felice Gimondi

Gen 18, 2018

Felice Gimondi (Sedrina, 29 settembre 1942 – Giardini-Naxos, 16 agosto 2019) è stato un ciclista su strada, pistard e dirigente sportivo italiano.
Professionista dal 1965 al 1979, è stato un campione completo, capace di tenere sul passo, di vincere in salita, a cronometro e anche in volata. È uno dei sette corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri, cioè Giro d’Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976), Tour de France (nel 1965) e Vuelta a España (nel 1968). Tra le corse di un giorno si aggiudicò un campionato del mondo su strada (nel 1973) e alcune classiche monumento: una Parigi-Roubaix, una Milano-Sanremo e due Giri di Lombardia. Suo è il record di podi al Giro d’Italia, 9, dove ottenne anche sette vittorie di tappa.
Nonostante la sua carriera sia coincisa in gran parte con quella del “cannibale” Eddy Merckx, è stato in grado di ottenere numerosi successi; rispetto al belga ha avuto anche una maggiore longevità ad alti livelli, avendo iniziato a vincere prima, al Tour de France 1965, e terminato dopo, con il successo al Giro d’Italia 1976. Ottenne complessivamente 118 vittorie tra i professionisti.
Nato a Sedrina, in provincia di Bergamo, cominciò a gareggiare nel ciclismo nel 1959, da allievo, ottenendo la prima vittoria il 1º maggio 1960, nella Bergamo-Celana. Nel 1962 passò nella categoria dilettanti: in tre stagioni riuscì ad aggiudicarsi sedici corse, fra cui il Tour de l’Avenir nel 1964; nello stesso anno rappresentò anche l’Italia ai Giochi olimpici di Tokyo, classificandosi trentatreesimo nella prova su strada vinta dal connazionale Mario Zanin.
Debuttò tra i professionisti all’inizio del 1965 con la Salvarani di Luciano Pezzi, squadra in cui rimase fino alla fine della stagione 1972. La sua carriera da professionista iniziò subito con il secondo posto alla Freccia Vallone e il terzo al Giro d’Italia, vinto dal compagno di squadra Vittorio Adorni. In luglio partecipò quindi al Tour de France in sostituzione del gregario Battista Babini, con l’obiettivo di aiutare il suo capitano Adorni: in quella corsa colse invece una prestigiosa vittoria finale, vestendo ininterrottamente già dopo la terza tappa (eccetto che per due giorni) la maglia gialla di leader, e diventando in tal modo il quinto italiano capace di vincere la Grande Boucle. In quel Tour vinse la terza frazione, con arrivo a Rouen, seppe resistere agli attacchi di Raymond Poulidor sul Mont Ventoux e nelle altre tappe di montagna, e si impose quindi nelle ultime due prove a cronometro, quella in salita al Mont Revard e quella finale a Parigi.
Il 1966 lo vide per la prima volta vittorioso nelle classiche, con i successi in Parigi-Roubaix e Parigi-Bruxelles, nonché, nel finale di stagione, nella Coppa Agostoni, nella Coppa Placci e nel Giro di Lombardia (in volata su Eddy Merckx, Poulidor e Jacques Anquetil). Quell’anno Gimondi si classificò inoltre quinto al Giro d’Italia, dopo aver vinto il tappone dolomitico con arrivo a Belluno e lottato contro Anquetil, Adorni, Italo Zilioli e Gianni Motta, vincitore finale. Nella stagione seguente conquistò per la prima volta il Giro d’Italia. Decisiva in quella “Corsa rosa” fu l’azione condotta da Gimondi nella terzultima tappa, quella con il Tonale, l’Aprica e l’arrivo a Tirano: dopo aver attaccato con Gianni Motta sul Tonale, sull’ultima ascesa il bergamasco riuscì a staccare la maglia rosa Anquetil e a giungere sul traguardo precedendolo di 4’09”, strappandogli così definitivamente il primato. Gimondi partecipò quell’anno anche al Tour de France, con l’obiettivo di ottenere il successo finale. Rimasto a lungo nelle prime posizioni, nella sedicesima tappa, sui Pirenei, andò incontro a problemi intestinali e dovette staccarsi: concluderà solo settimo in classifica, dopo essersi comunque aggiudicato in solitaria la frazione con arrivo sul Puy-de-Dôme.
Nel 1968 si aggiudicò la Vuelta a España, diventando il secondo ciclista dopo Jacques Anquetil in grado di far suoi i tre grandi Giri di tre settimane. Al Giro d’Italia di quell’anno, in cui aveva concluso inizialmente terzo (a 9’05” da Merckx), fu invece declassato perché trovato positivo all’anfetamina in un controllo antidoping effettuato al termine della ventunesima tappa Successivamente riuscì a dimostrare di aver assunto fencamfamina, stimolante ancora non proibito, e per questo venne reintegrato negli ordini d’arrivo. Nel 1969, dopo un inizio deludente nelle classiche del nord, eccetto un secondo posto al Giro delle Fiandre, conquistò il suo secondo Giro d’Italia, grazie soprattutto alla squalifica di Eddy Merckx, avvenuta al termine della tappa con arrivo a Savona. Al Tour de France, dominato dallo stesso Merckx, fu invece quarto. Sul finire di stagione si aggiudicò il Giro di Romagna valido anche come Campionato italiano, il Giro dell’Appennino, il Grand Prix des Nations e il Trofeo Baracchi.
Nel 1970 dovette subire il dominio dei corridori belgi nelle grandi classiche. Arrivò in forma al Giro d’Italia, ma dovette arrendersi ancora a Eddy Merckx, così come nella Milano-Sanremo 1971 e ai campionati del mondo dello stesso anno. Nel 1972 non ottenne risultati importanti nelle classiche di primavera ed al Giro d’Italia fece molta fatica, classificandosi ottavo, superato nel finale anche da Roger de Vlaeminck, specialista delle classiche. Tuttavia, al Tour de France chiuse in seconda posizione (battuto sempre da Merckx), in autunno concluse terzo al Giro di Lombardia, ma vinse per la seconda volta il Giro dell’Appennino, valido come campionato nazionale.
Nel 1973 Gimondi passò alla Bianchi-Campagnolo, formazione diretta da Giancarlo Ferretti, già suo gregario alla Salvarani. Proprio nel 1973 a Barcellona il bergamasco conquistò il titolo mondiale su strada. Quella gara iridata venne corsa in una giornata torrida sul Circuito del Montjuïc, 14,5 km da percorrere diciassette volte. All’undicesimo giro Merckx lanciò l’attacco, Gimondi fu capace di rispondergli portandosi a ruota gli spagnoli Luis Ocaña e Domingo Perurena, il compagno di squadra Giovanni Battaglin, l’olandese Joop Zoetemelk e il belga Freddy Maertens; un ulteriore allungo di Merckx al quindicesimo giro ridusse a quattro (il “Cannibale”, Maertens, Gimondi e Ocaña) il novero dei pretendenti alla vittoria. Sul rettilineo finale Gimondi, che sembrava battuto, riuscì a superare sul filo di lana il veloce Maertens, impegnato a lanciare lo sprint a Merckx; quest’ultimo, forse per stanchezza o forse perché Maertens aveva avviato la volata con troppo impeto, perse l’attimo buono per lo sprint finale, favorendo così il successo dell’italiano.
Al successivo Giro di Lombardia arrivò secondo, a 4’15” dal vincitore Merckx; grazie però alla squalifica di quest’ultimo per positività agli stimolanti (efedrina), un mese dopo la gara Gimondi venne dichiarato vincitore. In maglia iridata (e complice l’assenza di Merckx) si impose anche nella Milano-Sanremo 1974, attaccando a San Lorenzo al Mare e staccando il secondo, Eric Leman, di 1’53”. Al Tour de France 1975 risultò nuovamente positivo ad un controllo antidoping, per cui venne penalizzato di 10′ in classifica generale, squalificato per un mese, e costretto a pagare una multa dell’equivalente di 24.000 pesetas. Al Giro d’Italia 1976, forte di tre podi ottenuti negli anni precedenti, si presentò tra i favoriti e riuscì a vincere battendo Johan De Muynck, Francesco Moser, futuri vincitori della corsa rosa, e anche Eddy Merckx, ottavo. Fu quello il suo nono podio al Giro, un record ineguagliato; nelle quattordici edizioni della “Corsa rosa” cui prese parte, vestì in totale per ventiquattro giorni la maglia rosa.[8] Fu anche il penultimo grande trionfo di Gimondi, che nello stesso anno vincerà la sua seconda Parigi-Bruxelles.
L’ultimo giro d’Italia corso da Gimondi fu quello del 1978: si piazzò undicesimo, ma contribuì in maniera decisiva al successo finale di Johan De Muynck, cioè di colui che aveva battuto due anni prima, ora diventato suo compagno di squadra.
Gimondi concluse la carriera su strada nell’ottobre 1978 partecipando al Giro dell’Emilia.[9] Sotto contratto da professionista con la Bianchi-Faema anche nel 1979, ottenne come ultimo piazzamento, nel febbraio di quell’anno, il terzo posto nel campionato italiano di omnium indoor[6] Nelle quindici stagioni da pro vinse in totale 141 corse e rappresentò l’Italia in undici edizioni dei Campionati del mondo professionisti.
Dopo il ritiro fu direttore sportivo della Gewiss-Bianchi nel 1988, e successivamente, nel 2000, presidente della Mercatone Uno-Albacom, la squadra di Marco Pantani. È stato anche assicuratore e titolare dell’Agenzia Assicurazioni Milano, e responsabile dell’attività sportiva (oltre che consulente del reparto corse) per la Bianchi, storica azienda milanese di biciclette. Dal 1996 in suo onore si tiene, in provincia di Bergamo, la Granfondo internazionale Felice Gimondi, patrocinata da Bianchi.
Per l’essersi spesso piazzato alle spalle di Eddy Merckx è stato a volte soprannominato “l’eterno secondo”, ma questa affermazione è stata poi cancellata nel tempo grazie alle sue tante vittorie fatte nella lunga carriera di cui alcune proprio davanti al “cannibale” Eddy Merckx. Comunque gli si deve indubbiamente riconoscere di essere stato uno dei più tenaci avversari del belga insieme a Luis Ocaña e José Manuel Fuente. Ai suoi epici duelli con Merckx sono dedicate le canzoni Gimondi e il cannibale di Enrico Ruggeri e Sono Felice di Elio e le Storie Tese.
Gianni Brera, che ne descrisse le imprese, coniò per lui i soprannomi Felix de Mondi e Nuvola Rossa. Lo stesso Gimondi ammise di aver capito troppo tardi che Merckx è stato più forte di lui, fu nel Giro di Catalogna del 1968, quando Merckx vinse l’ultima cronometro, specialità di Gimondi.
È deceduto verso le ore 18 del 16 agosto 2019 all’età di 76 anni per un improvviso arresto cardiaco mentre nuotava in vacanza a Giardini-Naxos.

(Fonte: Wikipedia)